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Libro

Occhi Vagabondi 1969-1999

Occhi Vagabondi 1969-1999

Pagine 112
Prezzo: 50,00 Euro
Icro Maremmani Photographer

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Questa raccolta rappresenta il percorso trentennale, sinuoso e ininterrotto di una calligrafia dello sguardo in costante trasformazione, ma nel contempo capace di conservare una rassomiglianza, un dna visivo, rintracciabile in temi e forme che si ripetono con straordinaria coerenza, al di là del tempo trascorso, delle tecniche utilizzate, dei soggetti inquadrati. 
Paesaggi, persone, azioni, nature morte, oggetti sono tutti accomunati da una forma ricorrente di visione autoriale, che è anche una forma del rapporto che Icro Maremmani stringe con i mondi dell’apparenza e dell’essenza, dell’interiorità e dell’esteriorità, ma anche dell’ora e dell’allora: uno sguardo paradossale, perché spazialmente vicino alle persone e agli oggetti, posto dentro l’azione e l’evento, ma simultaneamente lontano, dislocato, decentrato, marginalizzato, se posato su luoghi e paesaggi; uno sguardo comunque teso a stabilire, in entrambi i casi, un forte e profondo rapporto empatico con i soggetti inquadrati, un solido e duraturo ponte emotivo con l’oggetto della visione. 
È questo stesso sguardo paradossale (il cui punto di vista duale è spazialmente scisso tra vicinanza e lontananza, ma rimane nel contempo affettivamente uguale a se stesso, e dunque unitario, in quanto sempre alla ricerca di un contatto empatico tra osservatore ed osservato) a costituire l’elemento fondante la bellezza e l’espressività dell’obiettivo che Maremmani apre sul mondo.
Il dualismo persone/luoghi, vicino/lontano si esprime attraverso una coerenza tecnica e formale tendenzialmente costante in tutta la produzione. La visione si fa osservazione diretta, nitida, precisa, molto vicina all’immediatezza e al dinamismo della straight photography, di reportage, quando lo sguardo si posa sulla vita ripresa nel suo svolgersi, nel suo farsi azione e movimento, come ad esempio quando si sofferma sul luogo di lavoro (Cave e cavatori 1 e 2, Fratello vetro) o sull’energia potenziale della persona colta in un momento di sosta, dal lavoro (Cave e cavatori 3, Cavatore, La bottega del barbiere) o dal gioco (il verghiano Bimbi di Turchia). Qui, il dialogo energico di colori accesi (La bottega del barbiere), ma soprattutto di bianchi e neri, alte e basse luci (Cave e cavatori 1), nonché il contrasto acuto di forme, linee oblique, prospettive vertiginose, ma affrancanti e liberatrici (Cave e cavatori 2), costituiscono gli elementi portanti di una perfetta sintesi tra la contestualizzazione reportagistica del soggetto e la visualizzazione vitalistica e in presa diretta del momento decisivo, dell’essenza dell’evento in azione. Il coinvolgimento emotivo col soggetto inquadrato è forte, anche per via della registrazione documentaristica della dimensione sociale e della profonda comprensione, da parte di chi vede, dell’esistenza, dell’interiorità e dell’identità di chi è visto.
All’estremo opposto, si situano i luoghi e i paesaggi: l’osservazione non è più sempre nitida, fatta di contrasti energici, collocata quanto più è possibile dentro all’evento, vicino al soggetto, quasi a toccarlo, ma diviene più morbida e velata, mediata e filtrata da un’ottica di gusto manifestamente pittorico, del tutto antitetica a quella reportagistica, straight. Per la maggior parte a colori (tenui e vaporizzati in Covoni di fieno in Alta Versilia, Capannelli, Aspettando l’Autunno, e nella maggioranza della serie I luoghi che amo; più nitidi e marcati nella produzione più recente, Il mulino e il sale 1 e 2, sino alla straordinaria cristallizzazione cromatica di Vele all’alba e alla geometria concettuale di Guardando il cielo), ma in alcuni, mirabili casi, anche in bianco e nero (I luoghi che amo: Valle di Zeri Inverno), l’occhio del fotografo è distante, nello spazio e nel tempo, dal luogo osservato, il punto di visione è discretamente lontano, decentrato, marginalizzato. Spesso, questo effetto scaturisce dalla scelta dell’inquadratura, non più frontale, come avveniva nei ritratti del cavatore e del barbiere, ma laterale, asimmetrica (Pescando dal molo, Nascere in campagna) o bassa (Casa diroccata sulla spiaggia; I luoghi che amo: Lockness Lake); oppure, questo stesso effetto è prodotto dalla presenza di una barriera frapposta tra il soggetto e l’oggetto dello sguardo, come un sipario che, semiaperto sulla scena, permette la visione, ma allo stesso tempo separa i piani di chi osserva e chi è osservato (alberi o arbusti nella coppia de Il mulino dei sogni; una rete in Dietro la rete, la città; il bagnasciuga o le dune di sabbia in La lunga spiaggia e Casa diroccata sulla spiaggia; il mare in I luoghi che amo: Cape Corse; i vapori del ruscello nel secondo della coppia Il Mulino dei sogni; il cancello in Casa con cancello). Accanto alla distanza spaziale, vi è poi quella temporale: sono, questi, paesaggi-passaggi non soltanto tra il soggettivo e l’oggettivo, tra l’io e l’altrove, ma soprattutto tra l’ora e l’allora, tra il tempo presente dell’enunciazione e quello, passato, lontano, quasi irrecuperabile, dell’enunciato. In queste immagini, l’autore enfatizza la proprietà della fotografia di essere un potente mezzo di conservazione del ricordo, in una cristallizzazione visiva dell’oggetto che lo fa assurgere allo stadio simbolico di lacerto memoriale, resto di un passato recuperabile soltanto come visione immobile: il tempo sospende il suo corso, si arresta, non soltanto quando i luoghi sono calati nella dimensione altra del pittorico, o in quelli, liminari, fra terra e acqua che simultaneamente dividono e uniscono soggetto e oggetto della visione (mulini e spiagge), ma anche quando su di essi cala la luce bianca, lattiginosa, immateriale, del ricordo nostalgico e struggente (I luoghi che amo: Lochness Lake) o dell’attesa indefinita del tempo (di quello passato in Vivendo nel passato, o di quello futuro, forse, della morte, in Dietro gli scuri), queste ultime fortemente reminiscenti delle visioni di Vermeer; oppure quando questi stessi luoghi vengono immersi nella luce nascosta, segreta, liquida, propria degli spazi interiori e magmatici del profondo psichico, nei quali, per la prima volta, l’osservatore è spazialmente vicino all’oggetto della visione (Scogli in bassa marea 1 e 2).
Quello di Maremmani è un vagabondaggio visivo che tocca luoghi, persone ed epoche diverse, in una sempre sorprendente molteplicità oggettiva, ma è anche un viaggio spiraliforme, teso com’è verso il ritorno al passato e al ricordo, all’unità invece emotiva e soggettiva, agli spazi e ai tempi dell’io. È, questo, un visivo multiforme e simultaneamente familiare, luogo di una memoria vissuta e rivissuta con lo sguardo, di un’esistenza cristallizzata nel ricordo e restituita come immagine, immobile, del profondo.

Simona Beccone e Anthony L. Johnson 
Dipartimento di Anglistica
Università di Pisa

 

Occhi Vagabondi 1969-1999

 

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